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Marcinelle, quando la vita di un italiano valeva meno di un sacco di carbone

di Vincenzo Russo Traetto

Un titolo senza fiato: sessantannifamarcinelle. Le parole come i vagoni di un treno sono una dietro l’altra intervallate da spazi ma poi una frenata – brusca – o un incendio – improvviso – toglie gli spazi, la vita: il treno è cartoccio, il fiato toglie al corpo che ne esala l’ultimo. L’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois de Cazier, a Marcinelle, sobborgo operaio di Charleroi, una città del Belgio, tra le 7:56 e le 8:10, al pozzo Saint Charles nel condotto d’entrata d’aria principale divampa un incendio, causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. Di lì a poco si riempie di fumo tutto l’impianto sotterraneo. Muoiono 262 lavoratori in gran parte emigranti italiani, 136 per la precisione.
L’incidente è il terzo per numero di vittime tra gli italiani all’estero dopo i disastri minerari del 6 dicembre 1907 a Monongah, nello stato della West Virginia – 425 minatori di cui 171 emigrati italiani per lo più abruzzesi e molisani – e il 22 ottobre 1913 a Dawson, nel New Mexico proprio dove si svolge la serie televisiva Dawson Creek, che contò tra i 263 morti 146 italiani. Ma prima di Marcinelle in Italia. Un anno prima, a Spoleto, il 22 marzo 1955, nel cantiere centrale del pozzo Orlando della miniera di Morgnano alle 6:40 del mattino, una scintilla innesca un’esplosione in una sacca di grisù fuoriuscita da una galleria, a 300 mt di profondità causando la morte di 23 minatori.
Dal 1990 la miniera del Bois du Cazier è un monumento storico, un luogo della memoria con l’introduzione, nel 2001, nel nostro calendario civile della “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo” che ricorre proprio l’8 agosto a ricordo di quelle tragedie e di altre che avvengono, ancora oggi, nelle miniere di tutto il mondo, dalla Cina all’Ucraina, dagli Stati Uniti al Sudafrica. L’industria mineraria belga uscì quasi indenne dalle distruzioni della seconda guerra mondiale ma la Petite Belgique non aveva manodopera sufficiente e il 23 giugno 1946 fu firmato un protocollo italo-belga che prevedeva lo scambio di lavoratori (duemila nuovi minatori tricolori a settimana) e charbon (duecento chili per ogni nostro lavoratore). Manifesti rosa della costituente Repubblica italiana in tutte le cittadine: “Operai italiani! Condizioni particolarmente vantaggiose per il lavoro sotterraneo nelle miniere belghe.


Ed ancora prima il 4 maggio 1954 a Ribolla di Roccastrada, nel grossetano, sempre un’esplosione di grisù provocò la morte di 43 persone per la più grave tragedia mineraria del dopoguerra italiano raccontata nel romanzo “La vita agra” di Luciano Bianciardi e nel film dallo stesso tratto del maestro Carlo Lizzani. L’esplosione avvenne nel pozzo “Camorra Sud” della miniera di lignite. Che gioco del destino per gli anni a venire: due parole “camorra” e “sud” legate da una tragedia in quel momento mineraria ma che poi sarà civile, politica e sociale per la storia nazionale. E se vogliamo considerare anche la terza (pozzo) la cosa è seria, è senza fine. Ma Marcinelle è tra questi l’evento più simbolico collocato nel cuore dell’Europa che vuole respirare dopo la guerra, che vuole avere fiato per correre, ma in un attimo (in un fiato) diventa la morte di tutta l’Europa: 12 paesi coinvolti, oltre i 136 italiani vi sono 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 2 francesi, 1 britannico, 1 olandese, 1 russo, 1 ucraino e poi 3 algerini perché gli africani nelle tragedie non mancano mai come nelle vittime italiane delle inciviltà degli altri non manca mai un Sacco, questa volta Antonio di Cervinara (AV) e nell’altra barbarie Ferdinando Nicola di Torremaggiore (FG).

Dal 1990 la miniera del Bois du Cazier è un monumento storico, un luogo della memoria con l’introduzione, nel 2001, nel nostro calendario civile della “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo” che ricorre proprio l’8 agosto a ricordo di quelle tragedie e di altre che avvengono, ancora oggi, nelle miniere di tutto il mondo, dalla Cina all’Ucraina, dagli Stati Uniti al Sudafrica. L’industria mineraria belga uscì quasi indenne dalle distruzioni della seconda guerra mondiale ma la Petite Belgique non aveva manodopera sufficiente e il 23 giugno 1946 fu firmato un protocollo italo-belga che prevedeva lo scambio di lavoratori (duemila nuovi minatori tricolori a settimana) e charbon (duecento chili per ogni nostro lavoratore). Manifesti rosa della costituente Repubblica italiana in tutte le cittadine: “Operai italiani! Condizioni particolarmente vantaggiose per il lavoro sotterraneo nelle miniere belghe.

Ottimi salari giornalieri, premi temporanei, assegni familiari, scorte di carbone gratuito, biglietti ferroviari gratis, premi di natalità, ferie, possibilità di rimesse per l’Italia, facilità di alloggio”. Insomma si dava fiato questa volte alle trombe. E gli italiani, i meridionali, i siciliani delle solfatare, i contadini di Manoppello partivano senza aver tirato ancora il fiato dalla guerra. Partivano da soli, questi lavoratori, si sistemavano e attendevano l’arrivo delle famiglie.

Nel 1963, qualche anno dopo, Ignazio Buttitta in una poesia in lingua siciliana, musicata da Nonò Salomone ed interpretata da Otello Profazio, racconta la storia di Turi e Rosa Scordu di Mazzarinu, l’Ulisse e la Penelope che non si incontreranno più. Una storia comune e diffusa delle “vedove bambine”, così vennero chiamate. Si sposavano prima del viaggio per avere poi la possibilità di quello che oggi si chiama per gli extracomunitari “ricongiungimento familiare”.

Si perché erano così questi italiani: sporchi, neri di terra e poi di carbone, ma quella terra della piana di Bojano o del Salentino o della Murgia si infiltra attraverso le unghie sotto la pelle, e sono tutti neri già bruciati e non aspettano altro che il grisù di Charleroi o Dawson per diventare carbone ed alimentare la miniera. I treni su cui viaggiano sono sporchi e puzzolenti, e loro poi non si lavavano mai, ma forse puzzano perché la loro pelle puzza, quella pelle li, quella nera. Si, hai mai visto un italiano alto e biondo, tutti bassi e neri, ma quale Europa, sono africani, sono neri. Perchè erano neri questi italiani, anche quando respirano il loro fiato è puzzolente e nero ma mangiano i “macaroni” bianchi. Ecco li chiamiamo cosi. «Vous n’êtes pas italien, mais vous êtes macaroni! Ah, ah, ha vous êtes macaroni!” “Compà? Compà? Messiè… Monsuà Pierre? Signursì, me piacciono i maccaroni, spaghetti, ziti, bucatini. Ma è maccaroni. No macaroni». Questo spiega Turi al caposquadra Pierre, che scoprirà qualche anno dopo che Jacques Brel scriveva “canzoni francesi” e Salvatore Adamo, figlio di minatori siciliani arrivati a Jemappes, poco lontano, scriverà canzoni italiane e sarà insignito del titolo nobiliare di “Cavaliere” dal re Alberto II del Belgio e, poi, nominato “Officiale dell’ordine della Corona”. Cher Pierre, lorsque le “Macaroni” sont assaisonnés sont très bonnes. Quando i “macaroni” sono conditi sono buoni.

Turi ha il turno di notte, tira il fiato e scende giù, nel pozzo nero di Saint Charles… 100… 200… 400… 900 metri e li è tutto buio il fiato non ripiglia… si ansima… Poi un lampo di spavento. Il buio ti entra nelle orecchie, nel naso, nella bocca e non va più via. “Gli Dei sono beffardi e non hanno pietà, Euriloco, e i loro inganni sono feroci. Com’è lontana Itaca adesso!” Rosa, la moglie bambina, è sul treno nella notte buia a Villa San Giovanni pensa a Turi, al Belgio, questa strana nazione poco più grande della Sicilia “e allora perché andarci, rimaniamo in Italia!”, e non sa chi è Brel e non conosce le sue parole “Quando si ha solamente l’amore / per vivere le nostre promesse / senza nessuna altra ricchezza / Che di crederci sempre” e non vorrà mai ascoltare “Una ciocca di capelli” e la radio tascabile trasmette: «Ultime notizie della notte. Una grave sciagura si è verificata in Belgio nel distretto minerario di Charleroi. Per cause non ancora note una esplosione ha sconvolto uno dei livelli della miniera di Marcinelle. Il numero delle vittime è assai elevato.

I primi cadaveri riportati alla superficie dalle squadre di soccorso appartengono a nostri connazionali emigrati dalla Sicilia. Ecco il primo elenco delle vittime…». Ulisse e Penelope si perderanno in questa nuit noire senza ciatu: un po’ belgique e un po’ ‘taliani’. Qualche volta Lei penserà che i barconi non devono mai andare in mare di notte, il fiato non basta.

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